Storia e Costumi Calabresi

TRADIZIONI

Di paese in paese, nel cuore della regione, all'interno e sulle sue coste, una lezione di storia, di lingue diverse, di natura stupenda, d'arte e di artigianato. Basta soltanto non avere fretta perchè quaggiù il tempo ha un'altra dimensione. Solo se non si ha fretta la Calabria diviene una scoperta, al di là delle città e delle più o meno note mete turistiche di massa. Ci si rende allora conto, in borghi come Roghudi dove si parla ancora il greco antico o in altri come Lungri, Civita, Frascineto, Acquaformosa dove si parla ancora l'albanese, dell'incredibile isolamento nel quale è vissuta la Calabria. Nell'incantevole Stilo si ritrova la fede degli eremiti Basiliani ed il minuscolo gioiello bizantino della Cattolica, a Morano un trionfale barocco, a Santa Severina a Rocca Imperiale, ad Altomonte le memorie degli Enotri, dell'imperatore Federico II di Svevia. E ancora, avventurandosi nella foresta di Serra San Bruno la grande Certosa che fu centro di fede e di cultura fra i più luminosi del Medioevo europeo. E poi Acri, alla frontiera della Sila Greca e San Giovanni in Fiore e tanti altri spunti nei quali risiedono le origini delle festività e delle tradizioni ancora oggi rispettate dai calabresi.
"Oggi i grecanici, cioè i parlanti un dialetto greco che nel XVI secolo popolavano ben venti paesi, sono solo 5000 e circoscritti a cinque comuni: Bova, Bova Marina, Condofuri, Roccaforte del Greco e Roghudi." (1)
L'altra Comunità, quella Albanese, giunta in Calabria (in provincia di Cosenza) nel 1448, ha sempre mantenuto vivi i rapporti con la terra di origine e la propria cultura. Un recente risveglio di interesse verso questa popolazione si è manifestato anche attraverso la pubblicazione di giornali e riviste in lingua albanese.
"La minoranza la cui storia è certamente la più patetica è quella occitanica, parlante cioè un dialetto che risale alla gloriosa ed illustre "lingua d'oc", principio e base di tutta la moderna lirica occidentale. Che dei "francesi" si trovino all'estremo opposto della penisola è un fatto che ha davvero dello straordinario, del fiabesco. Solo che la vicenda di questa gente sa di persecuzione e di sangue tanto da essere stati spesso definiti "gli ebrei d'Europa". Occitanica è la popolazione di Guardia Piemontese (Cosenza) e valdesi erano Montalto, Vaccarizzo e Mormanno."(1)

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Il costume indossato dalle donne costituiva un capitale di famiglia. Era opera di esperti maestri artigiani e potevano permetterselo soltanto categorie di persone danarose. Costava un occhio: per la stoffa, sempre di alta foto qualità, i ricami, i pizzi, le pietre preziose, i merletti, le trapuntature in oro o in argento. Acquistarlo equivaleva ad un investimento e madri e figlie se lo tramandavano di generazione in generazione. Le variazioni di foggia, in Calabria, si riscontrano soltanto nel costume femminile. Quello maschile è pressochè uguale e le differenze consistono nel colore, nero o blu scuro; nei tipi di stoffa, lana o cotone ; e di cappello: a cono o morbido, il primo, ornato di nastrini multicolore, divenuto una specie di "distintivo politico" come stabilì un decreto austriaco del 1848, e quindi di brigantaggio. Cambia, invece, da zona a zona il costume femminile. In provincia di Reggio troviamo una gonna ed un corsetto di pesante cotonina blu sopra una camicia bianca. In quella di Catanzaro primeggia il panno rosso rettangolare indossato sopra la gonna a piegoline. Nel cosentino sono preferiti la seta ed il raso con boleri ricamati in oro e bordati con merletti, due gonne sovrapposte e spesso imbottite ai fianchi. Il costume era destinato in prevalenza alle donne sposate, tuttavia la pettinatura o il velo portati in determinati modi, e i bracciali, gli anelli, i nastri indicavano lo stato civile di chi se ne adornava. Nel cosentino le sue fogge hanno subito l'influenza dei monasteri e quella delle donne valdesi rifugiatesi in Calabria dalle Valle d'Aosta per sottrarsi alle persecuzioni.

Per le feste popolari e le tradizioni, oggi, si ha sempre un vago sospetto di omologazione a ciò che si aspetta il turista; ma approfondendo si nota che al di là di ciò, c'è il desiderio di ricercare e di consegnare alle nuove generazioni quello che, lasciato solo alla tradizione orale, eliminerebbe la possibilità di studiare la propria origine. Così sono nati centri e scuole di tradizioni popolari, primi fra tutti quelli di Catanzaro e Squillace. La storia della Calabria oltre che nelle strade, sui monumenti, nei musei archeologici (primo fra tutti quello di Reggio), si può leggere anche nelle raccolte di etnografie e di folclore; a Palmi (Reggio) circa 3000 pezzi, i più vari, a testimoniare la cultura popolare calabrese. Si possono dare delle costanti delle tradizioni calabresi: rare sono le feste per il Carnevale, spesso sovrapposto all'uccisione del maiale-vittima, spia del bisogno di esorcizzare dolori e problemi. Diffusissime, invece, sono le processioni della Settimana Santa: ciò sottolinea con chiarezza il legame alla religione e l'incapacità di liberare le ansie nella trasgressione; note quelle di Nocera Terinese, Catanzaro, Polistena, Laino, Platì e Cassano. A Pasqua si hanno le "affruntate", incontro fra Gesù risorto e la Madre (a Polistena, Cittanova, Gioiosa, Vibo Valentia e Tiriolo). In provincia di Catanzaro - nei paesi più interni - si può assistere alla "pigghiata", la cattura di Gesù prima della Passione. D'estate molti paesi hanno la tradizione dei "flagellati" o "spinati" (Palmi, Polistena, Acquaro) ove i fedeli partecipano a piedi nudi, il capo e il corpo avvolti da spine in segno di penitenza. Riti con personaggi enormi ( i "giganti") si svolgono a Palmi ed a Seminara, per l'Assunta. A Caulonia, in aprile, la festa in costume del "caracolo". Molto suggestivi i pellegrinaggi; i più noti sono alla Madonna del Pollino, Paola, Polsi e Melito.


(1) Eugenio Savali - Incontro con la Calabria - Laruffa Editore - Reggio Cal. 1993
(2) Incontro con la Calabria - Laruffa Editore - Reggio Cal.

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